🥾 Dislivello: circa 670 metri ⌚ Durata: dalle 4 alle 4 ore e mezza📏Lunghezza: quasi 9 chilometri
Arrivo a Baita Passevra. |
Bellissimo itinerario, parzialmente ad anello, che unisce zone poco battute ad alcuni tratti del Sentiero delle Orobie. Si cammina su percorsi calpestati, nei secoli scorsi, da minatori, malgari e contadini, nel tentativo di sfruttare le poche ricchezze di un territorio aspro, ma naturalmente meraviglioso.
Scendendo la valle del torrente Bondione. |
L'itinerario parte da via Manina, nel centro storico di Lizzola, poco oltre la Chiesa Parrocchiale di San Bernardino (per i parcheggi vedi i dettagli nelle note tecniche). Accanto al Bar Soliv (via Manina 11/A), un breve tratto piastrellato conduce all'evidente traccia di un sentiero che serpeggia nel prato, salendo in direzione delle Piane di Lizzola (sarebbe utile un investimento di pochi euro da parte dell'Ente del Turismo per installare una semplice freccia in legno che indichi la direzione per Passevra, anche solo per far conoscere la splendida faggeta che si attraversa per raggiungere questa località).
Asini a riposo sopra le Stalle del Tuf. |
Poco più avanti si entra nel bosco di latifoglie dove, ben presto, il faggio prende decisamente il sopravvento sulle altre specie arboree. Si sale con gradualità, mentre alcune finestre tra la vegetazione lasciano intravvedere belle viste su Lizzola, sul Pizzo della Corna e sulle sottostanti Stalle del Tuf. Si supera il bivio che a destra scenderebbe a queste baite ed alle Piane (qui si trova l'unica indicazione nel tragitto che termina oltre la Baita Passevra) e si continua a salire nel freschissimo e pulitissimo faggeto.
Panorama dai pascoli di Passevra. |
Alternando tratti in falsopiano e ripidi, ma brevi strappi, dopo un'ora di cammino dalla partenza si giunge ad un tratto gradinato (circa 1550 metri di quota). Meno di dieci minuti e si esce dal bosco. Lo spettacolo si fa interessante: sulla destra le pendici del Monte Sasna guidano lo sguardo a voltarsi per individuare la chiesetta della Manina, dietro alla quale cominciano ad apparire le cime del Barbarossa e del Pizzo di Petto, ancora seminascosti dallo Sponda Vaga e dal Pizzul.
Il Pizzo della Corna da Passevra. |
Sui ripidi pendii che limitano l'ampio pascolo di Passevra i contadini si recavano a falciare il "fieno magro" (ol fè maghèr); un tipo di fieno di qualità inferiore, tipico delle aree meno fertili delle Orobie. La sua produzione era limitata, con un solo taglio possibile a causa della scarsa resa del terreno. Ma in realtà come Lizzola era necessario anche questo per sopravvivere. E poichè gli uomini del paese erano spesso emigranti o, quando erano fortunati, avevano trovato lavoro in miniera, a falciare ol fè maghèr, in larga maggioranza erano le donne.
Pascoli e Baita Passevra visti dal sentiero CAI n. 304. |
Di fronte si estende il bel pascolo di Passevra, che attraversiamo raggiungendo e superando l'omonima Baita (1600 m. circa-un'ora e un quarto dalla partenza). La traccia procede salendo a mezzacosta dietro l'edificio, pur perdendosi a tratti a causa del calpestio delle mucche al pascolo. Serve un altro quarto d'ora per arrivare al bivio con il sentiero CAI n. 304, situato a quota 1680 m., accanto ad un grosso masso erratico.
Da Passevra in cerca del sentiero CAI n. 304. |
Si sale girando decisamente a sinistra, risalendo faticosamente la dorsale erbosa. Il tracciato è evidente. Si cammina avvolti da arbusti ricoperti di inflorescenze, tra le quali si riconoscono i penacchi bianchi dell'endemica Salvastrella Orobica, i capolini gialli del Senecione di Fuchs ed alcune timidissime Campanule Barbate.
Salendo verso il passo delle Miniere. |
I 1920 m. di quota del Passo delle Miniere si raggiungono dopo un'impegnativa ora di salita. Lo sforzo viene ripagato da uno spettacolo non indifferente: di fronte ci ritroviamo faccia a faccia con il Pizzo Coca, sui cui dirupi cerchiamo e distinguiamo a fatica il puntolino bianco dell'omonimo rifugio. Si individuano più facilmente i salti delle Cascate del Serio mentre, dal lato opposto, si osservano distintamente i borghi che compongono il comune di Valbondione. Ai nostri lati ci sono le cime erbose dei monti Pomnolo e Toazzo, che meritano un breve approfondimento.
Dal passo delle Miniere uno sguardo sulle Cascate del Serio. |
Il Passo delle Miniere si trova tra i monti Pomnolo e Toazzo, sulle cui pendici si trovavano gli ingressi di numerose miniere. Nei pressi, si trovavano le baite dove alloggiavano i minatori, in gran parte provenienti da Lizzola. Partivano il lunedì, prima dell'alba, ognuno con il proprio zaino di canapa, riempito con il necessario per la settimana: formaggio, farina per la polenta, l'olio per le lampade. Sarebbero tornati solo il pomeriggio del sabato, ovviamente a piedi, così come avevano fatto per la salita.
La cima del Monte Pomnolo veglia sul passo delle Miniere. |
Torniamo sui nostri passi sino a rivedere il masso erratico indicatore del bivio tra il CAI n. 304 ed il sentiero che scende ai pascoli di Passevra. Qui svoltiamo a sinistra, seguendo i bolli biancorossi e scendendo verso la valle del torrente Bondione, che si attraversa grazie ad un ponticello di legno (1615 m. circa-tre quarti d'ora circa dal Passo delle Miniere). Si costeggia quindi il lato sinistro del torrente, continuando sul sentiero CAI n. 304 a superare un primo bivio e quindi a tenere la destra al successivo, cominciando a calpestare il CAI n. 322 che ci condurrà fino a Lizzola.
Scendendo nella valle del torrente Bondione. |
La traccia è ben definita. Alla nostra destra il torrente si fa più impetuoso, disegnando gli spruzzi di piccole cascatelle per poi riposare nella quiete di pozze cristalline. Sui dirupi dell'inaccessibile (per gli umani) lato opposto, un giovane camoscio ci osserva incuriosito. La discesa impegna severamente le nostre ginocchia e ci costringe ad attraversare un breve tratto con catene e poggiapiedi saldamente fissati su una placca rocciosa.
Giovane camoscio sulla dirupata sponda del Bondione. |
Poi la discesa si placa, il passo torna ad essere sicuro ed il sentiero meno sassoso. Sulla sinistra scende la Valle del Monte Crostaro e proseguendo diritto si entra nelle Piane. Questi placidi campi, nel 1630, offrirono rifugio ad una quarantina di abitanti di Lizzola che riuscirono così a scampare al flagello della peste manzoniana. Allora questa zona si chiamava Campolino, perchè qui era fiorente la coltivazione del lino. Su questa località, della quale non esiste più traccia, aleggia una leggenda, che riporto nelle note tecniche.
Ai pascoli delle Piane di Lizzola. |
Giunti alle Piane di Lizzola, si procede sempre sul lato sinistro del torrente, superando piccoli appezzamenti riservati al pascolo estivo delle mandrie ed osservando, sul lato opposto, il Rifugio degli Alpini, sorvegliato da un cannone della grande guerra, ed un bel gruppo di baite denominato Stalle del Tuf. Quando la larga sterrata comincia a scendere si ritrova l'asfalto, che ci condurrà in breve al piccolo borgo di Lizzola ed al parcheggio dove abbiamo lasciato la nostra auto.
Una delle Stalle del Tuf. |
Note tecniche:
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