domenica 5 novembre 2017

Il primo alpinista delle Orobie: omaggio ad Antonio Baroni

Vi siete mai chiesti chi potesse essere stato il primo alpinista a scalare quelle vette che oggi, sia pure con fatica ed impegno, sono raggiunte da molti escursionisti senza particolari capacità alpinistiche ?!  La risposta, per molte delle principali cime delle Orobie, si trova nei tratti del volto ruvido e serioso di Antonio Baroni (1833-1912) contadino e  boscaiolo di Sussia Alta, la frazione più alta del Comune di San Pellegrino Terme. 
Pizzo Coca, conquistato in solitaria da Antonio Baroni nel 1877.
Foto di Giovanni Barbieri, che ringrazio per la concessione
Nella seconda metà del diciannovesimo secolo le Alpi rappresentavano un terreno di gioco per nobili annoiati e ricchi borghesi.   Per tutti gli altri, la montagna era sinonimo di lavoro duro, dall'alba al tramonto.   I montanari, quelli veri, miravano alle cime solo se la fatica era necessaria.   I sentieri più arditi venivano tracciati dai cacciatori di camosci e stambecchi, che uccidevano le loro prede per necessità, non certo per gioco.   Antonio Baroni aveva scoperto così la propria abilità a scalare montagne, alternando le fatiche sui campi da coltivare o per la cura del bosco, con la caccia agli ungulati sugli aspri declivi del Sornadello e del Pizzo Grande, le cime che contornano tuttora il suo minuscolo borgo natio.
Antonio Baroni - guida alpina
Per il Baroni, ben presto la passione dell'alpinismo divenne mestiere.   Il suo passo era talmente sicuro e l'individuazione della traccia così istintiva, che nobili e borghesi si contesero la sua guida per le salite più impegnative delle Orobie, ed anche per alcune scalate in Valtellina e nel gruppo dell'Adamello.   
 Diavolo, Diavolino e Grabiasca dal sentiero che sale al passo di Portula.
Nel 1891 Antonio Baroni tracciò una nuova via sulla cresta sud del Diavolo.
Baroni fu il primo a conquistare il Pizzo Coca, asceso in solitaria nel 1877.   L'anno successivo, con il conte Lurani Cernuschi inventò una nuova via sul Monte Disgrazia e, nel 1891, tracciò una fantastica alternativa alla via normale del Pizzo del Diavolo di Tenda, percorrendo in sicurezza i 450 metri di dislivello della cresta sud, uno dei percorsi più panoramici delle cime brembane.
Anni prima aveva violato la cima di Alben, Arera e Presolana Orientale.   Nel 1896 completò l'opera salendo ai 3.037 m della Punta di Scais, dimostrando doti non comuni anche sulla neve e sul ghiaccio che avvolgono il Canale Centrale di questa montagna.
Casa natale di Antonio Baroni, a Sussia Alta 
(ringrazio il sito valbrembanaweb per la gentile concessione)
Per ricordare Antonio Baroni, è possibile programmare una facile escursione alla sua casa natale, partendo dalla frazione Vetta di San Pellegrino (650 m) e percorrendo una strada sterrata che in circa un'ora raggiunge i 1.000 metri di Sussia Alta.    Altrimenti si può partire da Catremerio, e raggiungere Sussia Alta attraverso il passo del Crusnello e l'omonima contrada.  Una tranquilla passeggiata tra pascoli e boschi cedui, che unisce tre borghi montani con suggestive caratteristiche architettoniche e rurali, molto diverse tra loro.
Il Monte Alben, salito da Antonio Baroni nel 1875
foto di Giovanni Barbieri
Altre informazioni:
Come arrivare: Sussia Alta si raggiunge dalla frazione Vetta di San Pellegrino Terme o da Catremerio, piccolo borgo collegato a Brembilla e a Sant'Antonio Abbandonato, frazione di Zogno.

Altri suggerimenti: Nel centenario della morte di Antonio Baroni, il Comune di San Pellegrino Terme e le sottosezioni CAI della Val Brembana hanno patrocinato una serie di interessanti iniziative ed anche un cortometraggio di mezzora, che rappresenta la ricostruzione storica di un'ipotetica scalata di Baroni che accompagna una contessa milanese sulla via da lui aperta sul Pizzo del Diavolo. Bellissime immagini, forse un po' troppo liriche, ma molto suggestive.   Particolare il dettaglio che evidenzia le abilità alpine di Baroni, ai suoi tempi noto anche come "la grande guida a piedi nudi". Infatti, se un ostacolo o un particolare passaggio in parete lo metteva in difficoltà, si toglieva gli scarponi chiodati e continuava la salita con le sole calze.
Il film rappresenta un gradevole omaggio al pioniere delle guide alpine bergamasche, e si fa perdonare anche l'errore della regia, che mette tra le mani di Baroni una "picozza Cassin" sicuramente realizzata molti anni dopo la sua dipartita.


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