domenica 25 marzo 2018

Nel cuore aspro e selvaggio dell'Isola d'Elba, tra pirati, duchi spagnoli e pini secolari

Vista dal mare, la baia di Porto Azzurro è un fantastico caleidoscopio di colori offerti dalla natura.
Su tutti, prevale lo sfondo rossastro delle asperità del Monte Castello, nelle cui pieghe si nasconde il piccolo santuario di Monserrato, meta di una facile escursione che offre panorami spettacolari ed inconsueti.
Porto Azzurro e il Monte Castello - foto di Elisa Di Blasi
Per arrivare alla partenza della gita, bisogna percorrere circa 600 metri della strada provinciale che, da Porto Azzurro porta a Rio nell'Elba.   Pochi metri dopo il bivio per la spiaggia di Barbarossa, si devia a sinistra per una stradetta che si inoltra nella valle fino a raggiungere uno splendido esemplare di pino domestico plurisecolare, che i bambini delle elementari di Porto Azzurro hanno ribattezzato "Nonno Pino".    Questo albero monumentale è alto quasi 20 metri, la circonferenza del suo tronco supera i 4 metri e quella della chioma si allarga per almeno 30 metri.    Vecchio di circa quattro secoli, ha purtroppo recentemente subito l'onta di alcuni violenti temporali, i cui venti impetuosi hanno sradicato alcuni dei rami più esterni.   Ma la sua maestosità è rimasta intatta e merita sicuramente qualche foto e un abbraccio, prima di avviarci a piedi verso il santuario di Monserrato.
La chioma di Nonno Pino - foto di Elisa di Blasi
La passeggiata è breve, ma molto profumata.    Si sale percorrendo uno sterrato circondato da orti, frutteti e campi coltivati, intervallati da case coloniche ristrutturate.    In meno di mezzora si raggiunge il piccolo santuario, situato su un'altura isolata, circondato da una corona di aspre ed appuntite cime che ricordano altitudini ben più elevate rispetto ai modesti 122 metri effettivi registrati dalle mappe.   L'ambiente è aspro e selvaggio, molto simile a quello che circonda l'omonimo santuario catalano de Nuestra Señora di Montsérrat.   D'altra parte, il governatore spagnolo che dispose l'edificazione del piccolo romitorio elbano doveva un voto alla "Madonna catalana", da lui  invocata nel bel mezzo di un'improvvisa burrasca di scirocco che lo aveva sorpreso in mare aperto mentre navigava dall'Argentario verso l'approdo del Golfo di Porto Longone, ora Porto Azzurro.
Uno sguardo al Santuario dal sentiero di salita - foto di Elisa Di Blasi
Dalla piccola terrazza prospiciente il santuario, all'ombra di alcuni cipressi, si ammira un vasto panorama sulla spiaggia di Barbarossa ed è frequente l'avvistamento di famiglie di capre selvatiche.  Volgendosi a monte, si intuisce il reticolo dei ripidi sentieri che, dal santuario, procedono verso la cima del Monte Castello (389 m.).   Percorrerli non è un'impresa agevole, ed è consigliato soltanto agli escursionisti esperti.
La piccola terrazza del Santuario - foto di Elisa Di Blasi
Info tecniche e varie:
Come arrivare: Dopo essere sbarcati dal traghetto a Portoferraio, si prende la SP 26 in direzione Porto Azzurro.   Poco oltre l'abitato si oltrepassa il museo minerario e, all'altezza del bivio per la spiaggia di Barbarossa si gira a sinistra in una stradetta di campagna.  Dopo circa 600 metri si intravede, sulla sinistra, il secolare pino domestico nei pressi del quale si può parcheggiare.
Dislivello e durata della gita: Il dislivello è inferiore ai 100 metri e si impiega mezzora per la sola salita.
Sulla spiaggia di Barbarossa - foto di Elisa Di Blasi
Altri suggerimenti: La breve escursione qui descritta è parte di un interessate itinerario ad anello che parte dal centro di Porto Azzurro, negli immediati pressi dell'antica Fortezza di San Giacomo, ora adibita a carcere.  Il sentiero costeggia, con vista mare, il perimetro del penitenziario scendendo alla spiaggia che, ancora oggi, porta il nome del Barbarossa, il feroce pirata turco che, nel sedicesimo secolo sbarcò sull'isola portando morte e terrore tra i suoi abitanti.   Dal lido una stradina raggiunge e attraversa la provinciale, portandosi sul percorso che porta al pino secolare e, quindi, al Santuario di Monserrato.  Da qui si affronta il tratto più impegnativo, che si inerpica sui friabili fianchi del Monte Castello.   Dopo un passaggio sulla nuda roccia, si arriva ad un pianeggiante piazzale erboso dove si prende una pista forestale che riporta verso Porto Azzurro.   L'anello, lungo quasi 8 chilometri, si percorre in circa 5 ore, con un dislivello totale superiore ai 400 metri.   E' riservato agli escursionisti esperti ed è descritto nel sito del Parco Nazionale dell'Arcipelago toscano: www.islepark.it, nella sezione "visitare il parco-i sentieri più belli".
Capoliveri e un'azienda agricola della Piana di Mola - foto di Elisa Di Blasi 
Sulla strada del ritorno, consiglio una sosta nei punti vendita a bordo strade delle aziende che lavorano la campagna della fertile Piana di Mola.   L'assaggio effettuato di vino e olio dell'Azienda Agricola La Fazenda ne hanno certificato l' ottima qualità.
Cartografia: Carta Kompass 650 - Isola d'Elba. Scala 1:30.000. 

domenica 11 marzo 2018

Incontri ravvicinati con gli stambecchi delle Orobie

Poco più di trent'anni fa sulle Orobie non c'era traccia di stambecchi.   Grazie alla reintroduzione di 88 esemplari provenienti dal Parco Nazionale del Gran Paradiso, programmata dalla Regione Lombardia e avviata dalla Provincia di Bergamo nel giugno 1987, nelle escursioni odierne possiamo ammirare più di mille esemplari che vivono ormai stabilmente sulle nostre montagne.
Giovane di stambecco, fotografato da Giovanni Barbieri nei pressi di Maslana.
Centomila anni fa l'areale dello stambecco occupava tutte le regioni rocciose dell'Europa Centrale e, fino al quindicesimo secolo, era massicciamente presente su tutto l'arco alpino.   Poi furono inventate le armi da fuoco, ed iniziò una strage che lo portò quasi all'estinzione.   Le superstizioni diffuse dalla "medicina popolare " dell'epoca resero la carneficina ancora più vasta: si credeva che la polvere delle corna di stambecco debellasse l'impotenza, il sangue curasse i calcoli renali e lo stomaco potesse combattere la depressione.     A metà del diciannovesimo secolo sulle Alpi erano rimasti poco meno di cento stambecchi.
Maschio adulto, fotografato da Giovanni Barbieri nei pressi di Maslana.
Paradossalmente, ci volle la passione venatoria di Vittorio Emanuele II per invertire questa tendenza.  Il futuro Re d'Italia pretese di rintanare e proteggere gli ultimi esemplari rimasti nella sua tenuta di caccia privata in Valsavaranche (Valle d'Aosta), incaricando i guardiacaccia di proteggerli dagli altri cacciatori.    Nacque così l'embrione del futuro Parco del Gran Paradiso, il primo Parco Nazionale, istituito nel lontano 1922.
Incontro ravvicinato sul sentiero per la vetta del Pizzo Tre Signori, foto di Sergio Gavazzeni.
Il maschio di stambecco è uno splendido animale che può vivere fino a sedici anni, superando il quintale di peso.    Possiede corna che sono in continua crescita e che permettono di determinare l'età di ogni singolo individuo.    Ad ogni inverno la crescita delle corna si blocca, per riprendere la primavera successiva.    L'arresto provoca un cosiddetto "anello di accrescimento" che equivale sostanzialmente ad un anno trascorso in vita da parte dell'animale.    Le corna di un maschio possono superare il metro di lunghezza, mentre quelle delle femmine non presentano nodosità e si fermano a 25 centimetri.
Capobranco al pascolo, nei pressi di Maslana. Foto di Giovanni Barbieri
Sulle Orobie gli stambecchi hanno ampliato progressivamente il loro areale successivamente alla reintroduzione programmata nel 1987.     Oggi se ne contano più di mille e avvistarli è ormai frequente, soprattutto in due zone.    La prima è la vasta area a nord di Valbondione, dove furono effettuati i primi rilasci di trent'anni fa; la seconda si concentra intorno al maestoso Pizzo dei Tre Signori, al confine con le province di Sondrio e Lecco.
"Mamma, aspettami..." foto di Sergio Gavazzeni, poco sotto la vetta del Tre Signori.
Se volete incontrarli sopra Valbondione, il periodo giusto potrebbe essere proprio questo: la neve li fa scendere nel bosco ed in mezzo alle rustiche abitazioni del borgo di Maslana. 
In questo stesso blog, nel febbraio 2017, ho pubblicato un post nel quale potete trovare tutti i dettagli utili: https: //dislivellozero.blogspot.it/2017/02/una-passeggiata-maslana-tra-stambecchi.html.
Riposo nel bosco di Maslana - foto di Giovanni Barbieri
Per vedere gli stambecchi nell'area del Pizzo dei Tre Signori forse è meglio aspettare un po', quando la prima erba primaverile attirerà gli stambecchi nei prati sopra i centri abitati e nelle vallate laterali. Oppure in piena estate, quando la colonia ormai stanziale di questi animali si riapproprierà dei contrafforti rocciosi che portano alla vetta del Pizzo (2554 m).   In questa stagione, dopo una notte trascorsa al Rifugio Falc (m. 2120 - località Bocchetta di Varrone) l'escursione che porta alla cima garantisce incontri ravvicinati con gli stambecchi ed i loro piccoli.
Nei pressi dell'Osservatorio floro-faunistico di Maslana - foto di Giovanni Barbieri
Per avere un quadro di insieme della diffusione dello stambecco sulle Alpi Orobie, si può consultare il geoportale della sezione CAI di Bergamo, che rende possibile il collegamento ad una mappa interattiva periodicamente aggiornata.    Il link è il seguente:
http://geoportale.caibergamo.it/it/content/lo-stambecco-sulle-orobie-bergamasche.
Anche su Facebook è stata creata una pagina specifica, realizzata in occasione del trentennale dalla reintroduzione dello stambecco nelle Orobie, effettuata nel giugno 2017.
L'indirizzo della pagina è: https://www.facebook.com/stambeccoorobie.
"E tu chi sei?" . foto di Giovanni Barbieri.


sabato 3 marzo 2018

Sulle vie del Misma, una montagna per tutte le stagioni.

Intorno al Monte Misma insiste un reticolo di sentieri che consente divagazioni di ogni tipo: dalla passeggiata facile con dislivello trascurabile, al giro ad anello che può occupare quasi tutta la giornata.  Nel mezzo, per gli escursionisti oggi troneggia il placido panettone, capace di regalare uno dei panorami più belli delle Prealpi Orobie.   Nel passato, invece, il centro dell'intricata mappa sentieristica della zona era rappresentato dalla chiesetta di Santa Maria del Misma, posta sul versante meridionale, a 823 metri di quota.
La chiesetta di Santa Maria del Misma - escursione del 25-02-2018.

Sin dal primo medioevo, tutto il circondario del Misma fu densamente abitato, anche perché offriva la possibilità di praticare diverse attività economiche: dallo sfruttamento delle cave di pietre coti (impiegate come abrasivi per affilare o molare utensili metallici, come i falcetti) alle coltivazioni di alberi da frutto (in particolare dei castagni).    I boschi erano battuti dai cacciatori, nei prati pascolava il bestiame.   Tutte queste attività necessitavano di sentieri di collegamento, che venivano ovviamente sfruttati anche per i traffici commerciali tra la Val Seriana e la Val Cavallina.

Dedalo di sentieri sul periplo del Misma - foto di Marco Ghirardelli

Cavatori ed allevatori, commercianti e cacciatori, contadini e viandanti usavano quei sentieri ed avevano bisogno di un centro spirituale che rinfrancasse le loro anime nelle rare pause di una vita dedita al duro lavoro, spesso di pura sopravvivenza.    Alcuni documenti storici risalenti al XII secolo attestano un ruolo centrale di Santa Maria del Misma per tutti i paesi della zona.   Nove diverse comunità hanno gravitato nel tempo intorno alla chiesetta e non sono mancate liti e risse per garantirsi le notevoli entrate provenienti dalle donazioni offerte alla gestione della comunità religiosa.   I secoli recenti hanno poi sminuito l'importanza del mondo rurale e Santa Maria del Misma ha subito declino e degrado, fino ad un recente restauro, che ci consente di ammirarla in ottime condizioni, così come la videro i viandanti del sedicesimo secolo.
Cascina Pratolina.

Dalla Forcella di Pradalunga alla chiesetta di Santa Maria del Misma
La passeggiata che vi propongo ha quindi come meta principale questa chiesetta, che può essere raggiunta da diversi luoghi (vedi dettaglio nelle note).    Normalmente si parte dal parcheggio posto nei pressi delle ex-cave di pietre coti, che si trova poco a monte del santuario della Forcella di Pradalunga (680 m).    Prendendo la strada che sale, si superano circa cento metri di dislivello per raggiungere "la Pratolina", una bella cascina a guardia di una radura posta ai bordi di uno splendido castagneto.    Seguendo le indicazioni delle "Vie del Misma" si raggiunge poi la località Mesòlt, dove si trascura la deviazione a sinistra per la cima del Misma e si prosegue in piano nel fitto bosco per arrivare al Roccolone, un antico roccolo di caccia in muratura.    Costeggiando la riserva naturale della Valpredina si attraversa senza difficoltà una tratto franoso subito dopo il quale si intravede la chiesetta di Santa Maria del Misma (823 m).    Calcolate un'ora e tre quarti dal parcheggio, per un dislivello in salita di circa 200 metri.
Il Roccolone

Il periplo del Misma
Se volete compiere un appagante giro ad anello, arrivati di fronte alla chiesetta dovete prendere la salita che si inerpica sulla sinistra del complesso.    Dopo un centinaio di metri di dislivello verso la cima del Misma, si lascia la traccia per prendere a destra il sentiero CAI n. 511 che porta, con alcuni saliscendi, fra i maggenghi della Località Fonteno (circa 750 m) dove si ammirano bei panorami sulla valle del Lujo.    Da qui, seguendo le indicazioni delle Vie del Misma, si risale un po' faticosamente nel bosco per poi scendere ai ruderi di Stalla Cura, dove lo sguardo si apre sulla media Val Seriana.    Si prosegue sul sentiero che rientra nel bosco e, al primo bivio, si tiene la destra sul sentiero CAI n. 510.    Passando nei pressi di alcune cascine ben curate, ben presto si intravede il parcheggio dove si è lasciata l'autovettura.     Calcolate circa quattro ore per l'intero giro, con un dislivello complessivo in salita di circa 500 metri.
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I portici di Santa Maria del Misma - foto di Marco Ghirardelli

Altre informazioni:
Altri sentieri per arrivare alla chiesetta di Santa Maria del Misma: Il complesso religioso è raggiungibile, in un'ora, e un quarto anche da Cenate Sopra (via Sant'Ambrogio) con il sentiero n. 607, superando circa 450 metri di dislivello.    Dal Colle Gallo servono invece almeno 2 ore e mezza, con diversi saliscendi che rendono la gita abbastanza faticosa.    Dalla frazione Piazze, sopra la Tribulina di Scanzo, transita invece il sentiero CAI n. 626, con il quale si arriva alla chiesetta in due ore, superando circa 400 metri di dislivello.     Dal ponte romanico di Albino infine, si risale via Monte Cura seguendo il sentiero CAI n. 511 che porta alla chiesetta in oltre due ore e mezza, superando un dislivello in salita di oltre 600 metri e di circa 150 in discesa.
Il Misma dai tetti di Torre Boldone - foto estiva di Elisa Di Blasi

Punto di ristoro e di alloggio: Il complesso di Santa Maria del Misma comprende un rifugio-ostello, gestito da un gruppo di volontari.    Sotto i portici della chiesetta ci sono dei tavoli dove è possibile sostare e consumare pranzi al sacco.
Cartografia: Carta Turistico-Escursionistica della Provincia di Bergamo-Tavola 08.

La segnaletica delle "Vie del Misma"